
In sostanza, le mafie locali hanno approfittato della situazione per poter immettere nei circuiti legali il loro contante “sporco” frutto dell’attività di spaccio, usura ed estorsioni. Nel mirino piccole fabbriche, negozi, ristoranti e bar, dove la liquidità scarseggia per le frequenti chiusure disposte dai decreti anti Covid, alle prese con fornitori, personale e affitti da pagare. Spesso, dice la Dia, “i prestiti delle mafie sono accompagnati dalla richiesta, più o meno esplicita, di subentrare nella gestione dell’azienda”. Si amplia la cosiddetta “zona grigia”, frutto di connivenze e “ammiccamenti” tra settori sani dell’economia e malaffare.
Gli investigatori della Dia evidenziano anche il rischio di infiltrazione delle mafie pugliesi nei settori del turismo e della ristorazione, “in crisi di liquidità per il prolungato blocco delle attività dell’agroalimentare e della mitilicoltura, tra i pochi comparti non indeboliti dal blocco ma particolarmente appetibili ai fini del riciclaggio e dell’intercettazione delle erogazioni pubbliche”. Altri rischi anche con le politiche infrastrutturali e dell’edilizia pubblica “per i pericoli correlati con le procedure irregolari e gli affidamenti diretti effettuati dagli enti locali”. Ma i rischi di infiltrazione riguardano anche il settore sanitario, “nella produzione e distribuzione di dispositivi medici, nello smaltimento di rifiuti speciali o nella sanificazione ambientale”. Altro fronte “caldo” quello dei “tentativi di guidare la protesta delle classi maggiormente colpite dalla crisi, compiuti da elementi contigui alla criminalità”.
Gli “affari” tradizionali
In merito all’attività più “tradizionale” della malavita organizzata, la relazione della Dia punta sugli esiti giudiziari dell’inchiesta “Final blow” che ha scompaginato i “saldi assetti” raggiunti negli ultimi anni tra i clan Pepe e Briganti, “consorterie dominanti del capoluogo la cui intesa criminale è appoggiata dai Tornese di Monteroni”, con ramificazioni nelle aree di Nardò e Gallipoli, “dove il clan legato ai Pepe aveva ormai da tempo allungato il proprio controllo sia per le piazze di spaccio che per alcuni servizi connessi con la movida e il turismo, come quello di security e guardiania”.
L’indagine, conclusa il 26 febbraio 2020 dalla Polizia con l’arresto di 72 soggetti, ha certificato l’egemonia del clan Pepe sui Briganti, “mediante l’esercizio di una supremazia riconosciuta anche da gruppi operanti nelle province limitrofe”. Tra i clan “attigui” anche i De Paola, originari del comune di Acquarica del Capo ( oggi fuso con Presicce).
Security, locali e gaming, non solo a Gallipoli
Si riconferma, quindi e ancora una volta la spiccata vocazione della sacra corona unita leccese verso il settore imprenditoriale, “testimoniata dalle intuizioni affaristiche di alcuni giovani luogotenenti, dagli investimenti dei proventi accumulati con la compravendita di droga ed estorsioni, dal controllo delle attività di security nei locali di intrattenimento, soprattutto nell’area di Gallipoli, e infine, dalla gestione del settore ittico al controllo del gaming”. Proprio il business dei giochi rappresenta uno dei settori prediletti anche per i clan della provincia, come ad esempio quello dei Coluccia di Noha (Galatina), al centro dell’inchiesta “Dirty slot” del gennaio 2020.
Sempre al primo semestre 2020 fa riferimento lo scioglimento del Comune di Scorrano (avvenuto con DPR del 20 gennaio 2020), “essendo emerse forme di ingerenze da parte del clan Amato, riconducibile al clan Tornese di Monteroni, che hanno compromesso il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale, come rilevato dall’inchiesta Tornado coordinata dalla Dda di Lecce e conclusa dai carabinieri il 24 giugno 2019”. Nello stesso contesto si inseriscono alcuni provvedimenti interdittivi del Prefetto di Lecce nei confronti di imprese ritenute infiltrate dalla criminalità organizzata. Per quanto attiene al restante territorio provinciale, a Nardò e Galatone operano alcuni pluripregiudicati epigoni di boss ergastolani della frangia neretina della sacra corona unita, che controllano il mercato delle sostanze stupefacenti e il racket estorsivo, in particolare, sulle “marine” dove si avverte l’influenza dei clan del capoluogo.
A Casarano e dintorni
Nell’area di Casarano, teatro di una lunga scia di sangue sino al tentato omicidio di Amin Afendi del 25 ottobre 2019, l’attività criminale viene fotografata come “frammentata” tra gruppi composti da ex appartenenti ai clan Potenza e Montedoro, considerati “tuttora in lotta tra loro per l’egemonia sul territorio”. Su Taurisano, “da sempre feudo della famiglia Scarlino” una recente interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Lecce ha interessato un’azienda attiva nell’assistenza socio sanitaria riconducibile a soggetti contigui al clan.
Sempre attivo, infine, il traffico legato all’immigrazione clandestina “nel cui ambito resta sostanzialmente immutato il modus operandi utilizzato dalle organizzazioni criminali transnazionali, per trasportare, prevalentemente dai litorali greci e turchi con potenti gommoni e imbarcazioni a vela, i migranti nel territorio italiano attraverso il Canale d’Otranto”. Il luogo di approdo preferito dagli scafisti resta la costa del basso Adriatico, ovvero il litorale che da San Cataldo si estende fino a Leuca, con saltuari sbarchi sulle coste Joniche.